domenica 22 gennaio 2012

UNITED COLOURS OF ORBETELLO.

"Ciao, sono Joseph, Giuseppe! Il 30 giugno 2011 trecento neri africani sono stati messi su una barca di pescatori di 17 metri dai soldati di Gheddafi. C'erano famiglie, coppie, 15 neonati e bambini piccoli, 10 donne incinte, e sei vecchi, dalla Nigeria, Ghana, Somalia e Burkina Faso.
Ci hanno portato verso il confine marittimo della Libia e hanno detto di aspettare. Stavamo aspettando le autorità libiche che stavano guardando le previsioni del tempo. Avevamo bisogno di bel tempo per 4 giorni prima che potessimo uscire. Alle 2 di notte nella più completa oscurità ci hanno lasciato andare. Il peschereccio era vecchio, il motore non funzionava correttamente. Uomini di Gheddafi ci hanno dato l'acqua e biscotti secchi. Dieci barche nelle stesse condizioni partivano da Tripoli allo stesso tempo. Siamo stati schiacciati insieme. Nessuno poteva coricarsi. Non c'era spazio neanche per sedersi. Nessuno riusciva a dormire. Per tre notti.
Trecento di noi sapevamo di rischiare la nostra vita. Nessuna vita, nessuna speranza. A volte il mare era calmo. A volte era molto agitato e la barca quasi capovolgeva. La gente vomitava. E piangeva in continuazione. Non c'era il capitano sulla nave. Ma noi non eravamo in grado di guidare la barca. Non sapevamo farla funzionare. Abbiamo dovuto imparare. La cinghia del motore si rompeva e abbiamo dovuto trovare il modo di risolvere il problema, o essere bloccati e morire. Eravamo in mezzo al mare. Nessuno di noi sapeva nuotare. Alcuni di noi avevano acquistato giubbotti di salvataggio all'ultimo minuto, ma abbiamo scoperto che erano difetto
A volte abbiamo visto altre barche e ci gridavano "Italia?" Noi abbiamo urlato "Si" e hanno indicato "Nord", vai in quella direzione. I biscotti erano finiti, e anche l'acqua. Alcune persone bevevano l'acqua di mare. E vomitavano violentemente. Un uomo egiziano è morto. Si è gettato in mare e è annegato. Ho cercato di trattenerlo ma lui mi ha spinto via. Aveva perso ogni speranza di raggiungere terra. Il motore era rotto. Abbiamo pensato di morire tutti. Presto il quarto giorno quando era ancora buio ho visto una luce in lontananza. Lampedusa! Ma io non lo sapevo. La Marina Militare Italiana è arrivata in una barca. Ci hanno detto di abbassare la pressione sul motore. Haa funzionato. Loro hanno telefonato a terra. Dopo, tre barche ufficiali sono arrivate. Due italiani sono saliti a bordo per riparare il motore. Ci hanno detto di seguirli. Siamo salvi!
Quando abbiamo raggiunto Lampedusa i malati, le donne incinte, le madri dei bambini, poi le donne, poi le persone anziane sono state portate via dalla barca prima. I malati hanno ricevuto aiuto. Siamo stati tutti fotografati, ci hanno dato acqua e cibo, abiti puliti e scarpe. Eravamo così felici di essere in una terra sicura, finalmente! Siamo stati messi su un'altra nave quella notte. E portati a un porto e poi sugli autobus per Fivizzano, un piccolo villaggio. E' stato molto bello per noi. Avevamo fatto una festa per noi. Ci siamo fermati due settimane. Allora siamo venuti qui a Orbetello. L'isola della laguna!
Non abbiamo cambiato una virgola di questa straordinaria lettera-testimonianza di Joseph, che Anna Lo Bello di "Uscita di Sicurezza" ci ha dato per farci intendere che dietro ognuno di questi volti c'è una vita, una storia, mai facilissime, nelle quali però non ci intromettiamo. Il viaggio, i perchè, e poi l'esperienza qui ad Orbetello per questi sedici ragazzi (otto coppie) di Ghana, Nigeria, Niger, Chad, ma tutti provenienti dalla Libia, questo si. Di questo abbiamo chiesto. Il loro status è quello di Richiedenti Protezione Internazionale, un rapido corso di italiano appena sbarcati (Anna si rivolge ai ragazzi faticosamente ma con molta pazienza solo in italiano) poi un altro, della Regione Toscana, ma certo la lingua è un ostacolo. Sono qui da soli sei mesi e la loro vita sociale all'esterno della struttura che li ospita è per forza di cose limitatissima.
E' la Regione che vuole e organizza tutto questo, con Prefettura di Firenze e Asl 9, ci spiega Anna, affidando poi la gestione dei richiedenti a cooperative o enti come appunto Uscita di Sicurezza. Il modello è quello dell'accoglienza integrata, sfecificatamente per l'emergenza Nord Africa (questi ragazzi erano appunto in Libia e da lì sono fuggiti, prima ancora che dai loro paesi d'origine), e prevede per sei mesi vitto e alloggio, formazione, integrazione, e naturalmente lingua e istruzione. Si deve stabilire se per loro sussiste davvero il pericolo di vita, una volta rientrati, per guerre, scontri entici o religiosi, persecuzioni per ragioni politiche, etniche o religiose. A quel punto arriverebbe il permesso di soggiorno (temporaneo e rinnovabile) e va da se perciò che nel frattempo questi ragazzi non possono lavorare. E di sicuro un pò meno burocrazia, permessi, documenti, lacci e lacciuoli (benvenuti in Itala..) male non farebbero, al fine di garantire una buona riuscita all'intera operazione.
Anna ci dice che si, i ragazzi vorrebbero restare proprio qui, a Orbetello, un posto finalmente tranquillo e ospitale. Ma si sa quant'è dura, per tutti e soprattutto ora. Ma la speranza negli occhi di questi ragazzi è contagiosa. Anna si rapporta a loro con un piglio metà didattico e metà materno, con polso e tenerezza pure di fronte a qualche capriccio, screzi fra loro,piccole intemperanze da ragazzi giovanissimi quali sono. Una delle ragazze è intanto in dolce attesa, e anzi l'attesa è quasi terminata. E prestissimo i Richiedenti Protezione Internazionale a Orbetello saranno diciassette. Good luck.

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