mercoledì 28 febbraio 2018

uscio e bottega: si può ignorare un rivoluzione?

Fabrizio Calcagni è il titolare di una rinomata cartoleria del centro, Fantastika, che in un'ultima, insolitamente fredda mattinata di febbraio condivide su Facebook un suo vecchio post, originariamente pubblicato tre anni esatti prima, accompagnandolo con una considerazione: "mai parole furono più profetiche".
Il senso del post: la responsabilità dei grandi centri commerciali, della grande distribuzione nel "devitalizzare" i centri cittadini, e ovviamente la loro vocazione commerciale, privando i negozi di quartiere innanzi tutto della consueta clientela locale, con conseguenze facilmente immaginabili in termini di riduzione di giro d'affari, licenziamenti del personale, chiusure, mentre poi giusto un attimo dopo, si apprende che le stesse grandi catene siano spesso già a loro volta alle prese con problemi di esubero, promesse e premesse di impiego già ampiamente ridimensionate (ma questa è un'altra storia) mentre nel frattempo appunto, da noi i buoi sono fuggiti dalla stalla, chissà se per farne mai più ritorno.
Seguono commenti di approvazione e sostegno da parte di altri commercianti del centro.
Queste le considerazioni di Fabrizio, condite nel post originale pure da un pizzico di spirito legittimamente sentimentale. E le nostre?
Dato per veritiero il ridimensionamento dell'impatto impiegatizio dei centri commerciali, di cui non disponiamo dati, in effetti non è esattamente un'impresa capire che lo svuotamento dei centri storici però c'è stato, le enormi difficoltà dei commercianti pure, e aggiungeremmo noi, un vero e proprio cambio di costumi, una rivoluzione di tendenze e consuetudini che già pochi anni dopo ci regalano lo scenario di un settore, se non alla canna del gas di sicuro non in forma smagliante. E quello che Calcagni nel suo struggente momento di nostalgia per le belle botteghe sotto casa dei tempi che furono neppure menziona, è un ulteriore fattore che di sicuro non è stato d'aiuto, aggiungendo altro carico alla micragna, e nemmeno poco: lo shopping on line.
Ricapitolando: arrivano i grandi centri commerciali, la grande distribuzione accaparra la qualsiasi, e gli acquisti su internet diventano una cosa realmente alla portata di tutti: uno scossone pauroso. Una rivoluzione, appunto.
E la nostra domanda è: si può essere inconsapevoli di una simile rivoluzione? Perchè l'idea a volte è proprio questa, ahinoi.
Siamo sicuri che sia stato fatto tutto il fattibile in contrasto a questa "rivoluzione" che di certo non invertirà rotta domani, se non in senso possibilmente ancora più spietato? Sì è corsi ai ripari? L'idea è no.
Che armi si sono sfoderate contro un'offensiva di tali proporzioni? L'impressione è nessuna. O quasi.
L'impressione è che tutto proceda esattamente alla stessa identica maniera di prima, con in più quel po di fatalismo a dire "io speriamo che me la cavo (un po meno peggio degli altri)" se non un vero e proprio "finchè dura fa verdura". Poi si vedrà.
Stessa tipologia di offerte, stesse modalità, stessi prezzi. Tutto cambia attorno a noi e noi non ci spostiamo di un millimetro. Il caro vecchio soldato giapponese che aspetta nella foresta che finisca la guerra. Già finita da quel dì.
E meno male che almeno in luoghi a vocazione turistica come Orbetello e i suoi immediati dintorni, quello che grande distribuzione e internet non hanno ancora seppellito è l'abitudine di molti a venire qui a trascorrere le vacanze, magari con qualche soldo da spendere, almeno per quegli ormai mitici 20 giorni e qualche weekend. Che di sicuro costituiscono una boccata d'ossigeno. Pensa non ci fossero nemmeno quelli.
Acclarato che noi consumatori, noi clienti, non abbiamo deciso di rivolgerci altrove per fare dispetto a qualcuno, e che anzi quando lo facciamo in qualche modo ci sentiamo persino di voltare le spalle ad amici carissimi, dato che bene o male ci conosciamo tutti e non è raro avere amici in qualsiasi settore del commercio, quali sono le motivazioni che ci spingono a cercare subito altrove, senza neppure prenderci il disturbo di dare prima un'occhiatina qui?
Ovviamente l'ampiezza dell'offerta e, non ci giriamo tanto intorno, i prezzi (con tutte le ragioni che i nostri commercianti accampano e che noi consideriamo sacrosante, ma non al punto da immolarci e dimenticare che spesso le pezze al culo ce l'abbiamo pure noi e il risparmio è una necessità, non un vezzo). Che però, ahinoi, non sono fattori di poco conto, bensì l'essenza stessa del commercio: il suo stesso senso.
E allora cosa si fa per bypassare questi due giganteschi ostacoli? Quando non si può competere con quell'ampiezza di scelta e quella possibilità di calmierare i prezzi?
Si opta per una preparazione ultra-professionale e modernissima del personale? Bah, diremmo non sempre: un po meglio (anzi, molto meglio) nel settore ristorazione, spesso una mezza catastrofe negli altri, con già una lingua straniera a costituire un ostacolo insormontabile, in termini di qualità dello scambio.
Si prende il "nemico" internet per le corna e lo si ritorce a nostro favore?
Bah: la maggior parte delle attività fanno scarso o nessun uso del mezzo. Quasi nessuno ha una corrispondenza social della propria attività, e quando ce l'ha è gestita in modo arraffazzonato e poco professionale, come se non fosse importante, come se non fosse una straordinaria vetrina immensamente più visitata di quella vera, come se la pubblicità non fosse non diciamo l'anima del commercio per stare alla larga dalle banalità, ma di sicuro un propulsore straordinario, tanto più gratuito in ambito social media. E come se ormai non fosse tutto là: all'interno di quello screen.
Ci si coalizza e anzichè star lì a guardarsi pure in cagnesco, con atteggiamento disfattista su tutto e tutti, e si decide di optare per una strategia di abbassamento generale dei prezzi, aggiungendo linee e collezioni "povere" (si fa per dire) alle abituali, raddippiando le occasioni reali di offerta e sconti (vedi Sbaracco, Black Friday) anzichè affrontare persino con pizzico di sufficienza e qualche furbata quelle poche che già ci sono?
Si fa di tutto perchè gli eventi, grandi e piccoli, di qualsivoglia ordine e grado, che costituiscono attrattiva per i turisti ma pure per la clientela locale, siano sempre di più, quasi una costante, senza invece dichiarare guerre sante (e spesso totalmente idiote) ai pochi che già ci sono?
Si rivede la politica degli orari allargando un po le maglie, che abbiamo capito i figli da andare a prendere a scuola, ma i centri commerciali, la grande distribuzione, internet, non vanno a prendere i figli a scuola e non fanno sieste messicane, perchè spesso sono i lavoratori stessi a dover usufruire di orari dilatati per fare acquisti, visto che è proprio nel tran tran di tutti i giorni che si stenta a trovare il tempo per farlo?
Bah, bah e bah.
E questa è l'idea. E anche la nostra piccola provocazione. Quella di un blog che ha sempre avuto tra le proprie caratteristiche quelle di dare il proprio infinitesimalmente modesto contributo a spingere l'immagine di Orbetello, della sua vita anche commerciale, a titolo assolutamente volontario e senza scopo di lucro, nella convinzione che un paese vivace e un'economia sana siano a beneficio di tutti, e che perciò prendendo spunto dal post di Fabrizio Calcagni ti chiede: belle le botteghe sotto casa di una volta: piacevano anche a noi. Ma che senso ha stare ad aspettare la manna dal cielo per contrastare una rivoluzione di costumi epocale che non durerà quanto una delle nostre uggiose sciroccate?
Vuoi dirci la tua?
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